Le guerre civili - Circeo - Storia e Leggenda

Storia e Leggenda del Circeo
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Le guerre civili

Classi sociali in lotta


La morte dei Gracchi segnò il fallimento dei tentativi di riforma e rese ancora più gravi i contrasti sociali, che si avviarono verso la lotta violenta e la guerra civile. Diversi gruppi si fronteggiavano a Roma, gli uni contro gli altri, con crescente asprezza. Da una parte i nobili, poche famiglie ma ricche e potenti, che possedevano la maggior parte della terrae tenevano saldamente il potere politico; da un'altra i cavalieri, cioè gli uomini d'affari, non numerosi ma assai forti per le enormi ricchezze accumulate durante le guerre; essi erano ostacolati nella carriera politica dai nobili, che disprezzavano le loro modeste origini familiari; infine i popolari (o democratici), la massa dei piccoli proprietari contadini e della plebe cittadina, immiseriti e senza lavoro, ridotti a vivere di sussidi e di distribuzioni gratuite di grano e farina, elargite dallo Stato.


Contro gli aristocratici, decisi a tutto per mantenere il potere, i cavalieri e i popolari talvolta si univano insieme, pure avendo scopi e interessi diversi: i cavalieri volevano uscire dall'inferiorità politica, i popolari chiedevano terre e un generale miglioramento delle condizioni materiali di vita.


Il partito popolare diventa forte con l'appoggio di Caio Mario


Poco tempo dopo la morte dei Gracchi, si segnalò in Roma un abile comandante militare, Caio Mario, che aveva l'appoggio dei cavalieri e delle masse popolari. Divenuto console nel 107 a.Cr., egli introdusse un'importante innovazione nell'esercito: il reclutamento, che da secoli era limitato solo a chi eveva i mezzi per pagarsi le armi e il corredo, fu aperto anche ai poveri, ai quali si fornirono le armi e si assegnò uno stipendio. L'innovazione trasformò l'esercito romano in un corpo di mercenari, che si arruolavano per denaro e consideravano la guerra un mestiere per accumulare bottini e fare carriera.


L'aspetto più pericoloso della riforma di Mario fu questo: che i soldati non si sentirono più al servizio dello Stato ma del comandante che offriva maggiori vantaggi materiali; i generali, in tal modo, acquistarono una grande potenza personale che poteva far nascere lotte private e guerre civili, come in realtà poi avvenne.


Mario si procurò gran fama in seguito ad alcune guerre vittoriose: contro Giucurta re di Numidia, che minacciava gli interessi romani in Africa; contro i Cimbri e i Teutoni, tribù germaniche che stavano per invadere l'Italia e furono sconfitte in due grosse battaglie, in Provenza (Aquae Sextiae, 102 a.Cr.) e presso Vercelli (Campi Raudi, 101 a.Cr.). Mario, eletto console per sette anni consecutivi, diventò uno degli uomini più potenti di Roma e con lui acquistarono grande forza il partito popolare e i cavalieri, che lo consideravono il loro capo.


La guerra sociale


Un altro aspetto della crisi della Repubblica fu il problema degli Italici, cioè delle popolazioni della penisola da tempo federate con Roma secondo patti particolari. Fin dall'epoca dei Gracchi, molte di queste popolazioni chiedevano di ottenere la cittadinanza romana. Essere cittadini e non soltanto alleati comportava non pochi vantaggi: pagare meno tasse, essere favoriti nella distribuzione del bottino di guerra, avere accesso alle cariche dello Stato, godere di un trattamento privilegiato nei tribunali.


Gli ostinati "no" del governo alle richieste degli Italici provocarono una ribellione violentissima (91 a.Cr.), che ebbe il suo centro nel Sannio, e nella Marsia e si estese alla Campania, all'Etruria, all'Umbria, con la partecipazione di circa 100.000 uomini in armi; l'alleanza con Roma fu dichiarata decatuda dai rivoltosi, i quali costituirono una lega autonoma, con capitale Corfinio (nell'attuale Abruzzo), a cui fu allora dato il significativo nome di "Italica". La guerra fra Roma e gli Italici (chiamata sociale da "soci", alleati) fu durissima e si prolungò tre anni con alterne vicende; alla fine (88 a.Cr.) Roma concesse la cittadinanza a tutti i popoli dell'Italia peninsulare, da Rimini a Reggio Calabria.


La guerra civile: Mario e Silla


Le aspre rivalità che da tempo contrapponevano i diversi gruppi politici a Roma esplosero in aperta guarra civile nell'88 a.Cr. Ne furono principali protagonisti due capi militari: Mario, sostenuto dai popolari e dai cavalieri; Silla, uomo di fiducia dei nobili, anch'egli come Mario valente generale. L'occasione che diede inizio alla guerra civile fu l'invasione dei possessi romani in Asia Minore da parte di Mitridate, re de del Ponto. Tanto Mario che Silla pretesero di avere dal Senato l'incarico di combattere contro Mitridate; entrambi disponevano di un esercito personale e ciascuno mirava a ricavare dalla spedizione in Asia onori, bottino e nuova potenza per sé e per la propria fazione politica.


Scoppiò così fra Mario e Silla un accanitissimo scontro con sanguinosi eccidi di nobili, cavalieri e popolari, a seconda di chi prevaleva nella lotta. Morto Mario di malattia (86 a.Cr.), finì per prevalere Silla, che sconfisse Mitridate in Asia e quindi, rientrato a Roma con le sue truppe, fece uccidere migliaia di oppositori politici, numerosi specialmente nella categoria dei cavalieri, segnati nelle liste di proscrizione.


Ottenuta la dittatura, Silla modificò la costituzione a vantaggio dei nobili: infatti, rafforzò il potere del senato e tolse forza e autorità politica ai Tribuni della plebe e alle assemblee popolari che non ebbero più alcuna voce del governo.


Caio Mario nell'88 a.Cr. fuggendo da Roma alla volta dell'Africa, fu costretto da una tempesta a sbarcare sulla costa del Circeo (vedere Caio Mario al Circeo).

Le proscrizioni di Silla

Silla proscrisse 60 cittadini, di suo arbitrio e senza nessun regolare processo, e poichè tutti protestavano, ne proscrisse altri 200 e poi altrettanti. E contro chi avesse accolto o salvato un rposcritto decretò la pena di morte; e a chi invece l'avesse ucciso, assegnò un premio di due talenti. E, cosa ancora più ingiusta, fece dichiarare infami anche i figli e i nipoti dei proscritti e tolse loro ogni avere, case, terreni e denari. Non vi fu un tempio che non fosse contaminato dalle uccisioni, nè focolare sacrò alla ospitalità, nè casa paterna che fosse asilo sicuro; si uccisero i mariti vicino alle mogli, e i figli sotto gli occhi della madre.

Plutarco

29 novembre 2016 | agg.1
Un episodio di guerra, Mario contro i Cimbri

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Plutarco
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