Quale difesa dalle mura? - Circeo - Storia e Leggenda

Storia e Leggenda del Circeo
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Quale difesa dalle mura?

Come già premesso, il promontorio del Circeo pare sia conservatore di tre cerchia murarie denominate ciclopiche, queste erano strutturate in modo da dare la massima difesa e la possibilità di una eccellente contro offensiva. Ciò avveniva, presumibilmente nel seguente modo:

La terza cerchia muraria
, è la più estesa e forse la meno elevata, svolgeva la funzione di contenitrice del terreno ovvero supportava dei terrapieni (atti allo sviluppo delle prime attività agricole). Inoltre limitava l'azione erosiva dei terreni fertili a causa degli agenti atmosferici, ma, in caso di utilizzo per la difesa da attacchi di eserciti nemici, queste mura rallentavano la marcia e rendevano difficoltoso l'avanzata celere di eventuali macchine da combattimento. Queste mura presentavano facili accessi posizionati proprio nei punti più ripidi del monte tali che i nemici, pur utilizzandoli, dovevano percorrere faticosamente questi pendii e per questo divenivano più vulnerabili perché soggetti a trappole quali, il rotolamento di grossi tronchi o la liberazione di frane artificiali di pietre. Queste deduzioni sono una pura intuizione, purtroppo, ricavata analizzando le direttrici ricavate sul prolungamento dei pochi resti di questa terza cerchia e dalla conformazione del terreno in località "La Valle", "San Rocco", al di sotto di "Cerasele" ex proprietà baronale, "Torre Fico" e ne ricompare qualche traccia dal lato mare sotto il "Picco di Circe".



La seconda cerchia muraria, pur essendo costituita da massi grossolani, nei punti di maggior necessità aveva un altezza e possenza notevole tale che, senza il supporto di scale lignee, l'attaccante avrebbe trovata grande difficoltà a scavalcarle. Data la loro conformazione ottenuta con la sovrapposizione di enormi massi appena lavorati, sembrerebbe trovare un facile appiglio nei molti interstizi esistenti, ma non è così! perché la tondità dei massi crea un susseguirsi di piccoli ostacoli detti in gergo alpinistico "Artificiali negativi o tetti" tanto che rallentavano di gran lunga l'attacco e davano certamente tutto il tempo alla popolazione attaccata di trasportare animali e vettovaglie all'interno dell'acropoli il località "Le Crocette" quale ultimo baluardo difensivo.



La prima cerchia muraria, costituita, nella parte esterna, da massi lisci e accuratamente lavorati in modo da concatenarsi senza che lasciassero facile appiglio agli attaccanti è presumibile che raggiungesse un'altezza massima di circa 8 metri. Tuttora le grandi pietre sono zeppate con piccoli sassi a facciata triangolare. Questi sono lavorati in tal modo che a tirarli fuori per indebolire la statica delle mura non è possibile in quanto la parte interna è dimensionata a mò di tronco di piramide il cui piede più grande è costretto all'interno delle mura stesse.

Altro accorgimento erano le dimensioni dei blocchi, infatti, prendendo quale riferimento l'altezza massima di un individuo di quei tempi - presumibilmente 1,75 metri e l'altezza media di 1,65 metri - si scopre che pur allargando braccia e gambe, un qualsiasi attaccante non riesce a scalare le mura dovendo arrivare inevitabilmente ad aggrapparsi ad un blocco mediamente di 1,65 per 1,80-2,20 metri (sino ad ora il blocco di maggiori dimensioni misurato qui al Circeo è di forma trapezoidale ed è 1,10 per 2,85 metri): quindi il malcapitato scalatore inevitabilmente rimane fermo senza poter proseguire la scalata per mancanza di appigli e diviene soggetto all'azione esercitata all'apice delle mura dai difensori.

L'azione di contro offensiva, durante un attacco l'esercito nemico, nel superare le varie difficoltà difensive naturali ed artificiali, subisce perdite e feriti, quest'ultimi rimangono bloccati tra un anello e l'altro delle mura ciclopiche per cui al fuoriuscire dei difensori dalla cittadella, gli assalitori feriti, si trovavano a dover scavalcare a ritroso le mura per fuggire (cosa già difficile quando non si è feriti).

Il contrattacco era micidiale, la supremazia tecnica dei Pelasgi nel costruire armi con leghe metalliche o il saperle dotare di accorgimenti che ne amplificavano la potenza creava lo scompiglio nei nemici e molti morivano proprio sotto quelle mura che avevano con tanta difficoltà superato.

In questa azione militare svolgeva un compito molto importante la possenza della seconda cerchia muraria perché più era grande e spessa e più era difficile demolirla in tempi brevi. Quindi in caso di un attacco "lampo" tutte le opre difensive erano ben strutturate e tese a ritardare al massimo l'avanzata nemica.

La posizione predominante della città dei Circei permetteva di dare subito l'allarme data dell'estesa vista che si godeva della pianura Pontina. Questa vista era combinata con l'avamposto presente sul "Picco di Circe". Questi due punti di avvistamento permettevano di controllare, con dispendio di poche energie, tutto il territorio andante da Roma sino a Napoli e dal mare sino ai monti Lepini ed Aurunci (dalle mura dell'acropoli si può vedere nitidamente il picco di Circe e viceversa ancora oggi).

Un lungo assedio era insostenibile in quanto le altre città ciclopiche dei dintorni, se pur distanti erano in collegamento visivo con il Circeo e tramite appositi segnali (ad esempio fuochi notturni) potevano ben capire la necessità di aiuto dei propri vicini e così giungere in poco tempo per stritolare gli attaccanti tra due formazioni militari.

Poniamo ad esempio quello che la storia racconta di un popolo che a suo tempo viveva a confine con i Pelasgi, questi generarono la stirpe dei Sanniti. I Sanniti, in seguito, arrecarono gravi sconfitte all'esercito Romano che tentava di conquistare la loro terra Campana.

Questo popolo irriducibile già prima dei Romani conosceva armi più efficaci di quelle possedute dai Romani sia nella composizione della lega metallica che nella forma. Inoltre conosceva l'utilizzo di corde e pulegge atte ad amplificare l'azione offensiva. Basti pensare che un giavellotto scagliato da un Sannita era potenziato dall'azione rotatoria causata all'arma con il semi svolgimento di una semplice cordella vincolata nel retro che, conseguentemente, ne aumentava la precisione e la velocità grazie anche ad una più prolungata spinta derivante dalla trazione della stessa corda accessoria prima che si sganciasse.

Tale era la potenza raggiunta che il giavellotto riusciva a sfondare gli scudi e le armature dei soldati Romani. Quanto detto forse è un'eredità di conoscenza lasciata dagli allora scomparsi o assorbiti vicini Pelasgi?..

Nei sopralluoghi per la realizzazione di questo articolo si è preso atto della inadeguatezza degli strumenti e delle Istituzioni che dal dopoguerra sino ad oggi hanno permesso, vuoi per carenza delle norme, vuoi per interessi speculativi, la distruzione sistematica di vestigia (per non parlare dei possibili ritrovamenti di valenza storica emersi in tale occasione e sistematicamente distrutti, occultati o venduti).

Abbiamo preso atto che molti sono stati gli esposti e le denuncie presentate in quest'ultimo decennio, ma comunque c'è chi ha demolito le mura ciclopiche in località Monticchio senza tema, chi ha costruito a ridosso della seconda cerchia delle mura intorno al "Centro Storico", etc.. L'appello è che si deve apportare una maggior coltura con conseguente maggior etica e amore verso la storia nei privati cittadini e convincere a un maggior interesse tutte le Istituzioni preposte alla salvaguardia e allo studio-restauro. Molto era sopravvissuto alle modifiche dei Romani, al Medioevo ed alla Seconda guerra Mondiale, ma ora l'appello unanime è "Salviamo il salvabile!".

Forse la grande valenza speculativa che hanno acquisito questi luoghi al Circeo ha fatto è fa ancora sì che tutto rimanga segreto e quindi facilmente demolibile. Il Circeo, oggi, una città segreta per meglio distruggerla?! Ma un tempo era segreta per la sua posizione strategica ed economica e questo l'aveva consegnato al 19esimo secolo con i meglio presupposti per rivelarne i suoi segreti.

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